«La parola 'morte'? Mi suggerisce... una grande speranza. La speranza di smettere di essere. Sono sicuro, come mio padre, che moriremo corpo e anima. A volte, mi sento un po' sfortunato - capita a tutti noi - soprattutto a un uomo che è solo, che è cieco, che ha senza dubbio alcuni cari amici, ma non molti, un uomo timido come me a volte, mi sento triste». Così confessa nel 1980 Jorge Luis Borges, ormai ottantenne, alla scrittrice argentina Liliana Heker durante l'intervista per il libro 'Diálogos sobre la vida y la muerte'. In queste pagine Borges ci parla con intimità di Dio, del suicidio di Gesù, della bellezza del buddhismo, della vita segreta delle piante e delle vere ragioni della sua avversione per gli specchi ci confida i suoi ricordi, ci racconta la vecchiaia e la frustrazione che presagiva nel suo sogno di immortalità.