In questo tempo segnato dalla paura e dalla solitudine, il testo accompagna il lettore a 'dire' il dolore: ammissione e quasi ridefinizione del dolore stesso, cui ogni epoca sempre è costretta. Gli si offre come esperienza personale, che in qualche modo misterioso e imprevisto, come accade sempre con la poesia, si allarga a rappresentare l'essere in quel suo punto fondo e segreto, nel quale l'uomo, come un bambino, si ritrova solo e indifeso. Una lingua densa e insieme incerta, 'esposta' e come accumulata a soppesare qualcosa che non si capisce, che non si conosce che costringe a sgranare il cuore, quasi a dire: io. Parola sospesa che ha conosciuto la paura, o l'orrore, che ugualmente si offre testimone del pur impaurito eroismo dell'uomo. Infine, essa stessa inchinata ad adorare il volto che emerge, inatteso, dal dolore. A 'dire' l'amore. Postfazione di Giancarlo Pontiggia.